Il primo sciopero a sigle unite degli ultimi sette anni nel mondo scuola non ha probabilmente ottenuto i risultati sperati. Ma la mobilitazione dovrebbe bastare ad ottenere qualcosa dal mondo della politica.
Secondo il dipartimento della Funzione Pubblica la partecipazione non è andata oltre il 15,6%, comunque oltre il doppio rispetto allo sciopero di dicembre, quando però mancava all’appello la Cisl.
I numeri di sette anni fa, quando si scioperò contro la Buona Scuola di Renzi, restano però irraggiungibili. Si raggiunse il 64,9%, cifre simili anche alla protesta contro la riforma Gelmini del 2010.
Le motivazioni principali della serrata sono riconducibili alla riforma del reclutamento scolastico introdotta dal Miur nelle scorse settimane. Critiche al sistema della formazione continua dei docenti, alle risorse previste per la scuola e al mancato reclutamento dei precari a cui è stata negata l’abilitazione.
Ma la rabbia dei sindacati, come sottolineato ieri da Maurizio Landini, arriva anche dall’inserimento nel testo di dettagli sugli aumenti salariali derivata dalla formazione continua dei docenti. Per il segretario generale CGIL si è trattato di un atto di forza da parte di un governo “che non vuole discutere” trattando temi che dovrebbero essere di competenza esclusiva del contratto nazionale del lavoro. Dal canto suo il Miur ha sottolineato come nel decreto legge, per tre volte, la materia del contratto venga rimandata alla contrattazione sindacale.
Accanto a striscioni di tutte le sigle sindacali presenti (Flc Cgil, Cisl Scuola, Uil Scuola, Snals e Gilda), si sono viste anche bandiere studentesche e a favore della pace.
In piazza era presente anche il personale ATA, principalmente per chiedere stipendi più dignitosi, mentre si è defilata l’Anp, l’Associazione nazionale dirigenti e alte professionalità della scuola fino a poco fa conosciuta come l’Associazione Nazionale Presidi. Per loro la protesta era "una richiesta di soldi a pioggia che non considera le capacità degli insegnanti”.
Per Francesco Sinopoli, segretario della Federazione dei lavoratori della conoscenza, la Cgil, si è trattato comunque di un successo considerando anche la data quasi estiva.
Patrizio Bianchi, ministro dell’Istruzione, ha parlato del “significato politico” che si celava dietro lo sciopero, aggiungendo che con l’aiuto del Pnrr verrà immesso nel mondo della scuola, a cominciare dalle infrastrutture, un quantitativo di fondi mai visto prima.
La lunga lista di emendamenti, oltre 200, presentati in questi giorni in Parlamento durante l’iter di conversione in legge del decreto di riforma, fa però intendere che qualcosa verrà conquistato da questo sciopero generale.
La corsa a un impegno che raccolga le proteste di piazza è cominciata trasversalmente da tutte le forze politiche.
Per Francesco Boccia, PD, “Gli scioperi vanno commentati e capiti, non comprenderli può essere fatale”. Mentre il compagno di partito Francesco Verducci ha promesso “modifiche sulla formazione iniziale e un emendamento sul sovraffollamento”, una delle altre richieste dei sindacati contro i problemi delle classi pollaio.
Giuseppe Conte, ex-premier e leader 5 stelle, ha spiegato come per il suo partito il progetto di riforma sia insufficiente e ha promesso battaglia in Parlamento.
Infine Rossano Sasso, sottosegretario all’Istruzione della Lega, ha spiegato come un numero così elevato di sigle debba indurre a una profonda riflessione.