Quello pubblicato nelle scorse settimane dall’università di Edimburgo è il più grande studio mai eseguito sulla dislessia, il disturbo del neurosviluppo che riguarda principalmente la capacità di leggere.
In Italia la dislessia, se associata ad altri disturbi DSA di cui può essere la causa come discalculia e disgrafia, è arrivata ad affliggere il 4,9% degli alunni nel 2019.
Il lavoro svolto ad Edimburgo, che ha coinvolto oltre un milione di persone, getta ora una nuova luce sul perché così tanti bambini possano essere colpiti dal problema e potrebbe agevolare un’identificazione precoce della dislessia. Un qualcosa di importantissimo.
Ad oggi non esiste infatti un vero test per diagnosticare il disturbo, che viene invece individuato dalla combinazione di fattori come i sintomi personali, la storia della famiglia o i risultati scolastici.
La diagnosi può arrivare così molto in ritardo, con gli alunni colpiti costretti ad anni di studio difficoltoso senza i supporti specifici di cui necessiterebbero.
Lo studio dell’università di Edinburgo ha riguardato l’intero genoma di un gruppo di 1,1 milioni di adulti, di cui 51 mila affetti da dislessia. Lo scopo era quello di individuare le varianti di genoma associate al problema, cercando le eventuali differenze tra individui sani e individui affetti dal disturbo specifico.
Questo ha permesso di identificare 42 varianti genetiche associate alla dislessia, e più una persona ne ha nel suo genoma più rischia di essere colpito.
Un terzo di queste varianti erano note ai ricercatori, in quanto associate a disturbi “scolastici” come il deficit di attenzione. Altre sono state una vera sorpresa, essendo correlate a geni responsabili della soglia del dolore o dell’ambidestrismo.
“La dislessia è un tratto complesso, influenzato da molti geni – ha spiegato la coordinatrice dello studio Michelle Luciano – Ognuno di questi geni ha un effetto molto contenuto sulla predisposizione dell’individuo, ma l’effetto può crescere quando sommato ad altri geni”.
Inoltre, anche i metodi pedagogici di apprendimento e i fattori ambientali potrebbero aumentare le probabilità di far nascere il disturbo, ma non è ancora possibile sapere quali siano con esattezza.
L’esito della ricerca è dunque al momento solo una porta in più che si apre sull’ampio mondo della dislessia, ma che ci avvicina allo sviluppo di quel test genetico che permetta di identificare da subito i bambini a rischio.