L’anticiclone africano Hannibal ha fatto piombare la primavera italiana sotto un devastante caldo ferragostano. Anche a scuola la situazione è divenuta complicata per gli studenti, seduti per ore in aule senza ventilatori e condizionatori, spesso sovraffollate e con l’aggravante di dover ancora indossare le mascherine.
Così molti alunni hanno iniziato ad arrangiarsi alla meglio optando spesso per vestiti più leggeri. Troppo leggeri per i dirigenti degli istituti italiani.
E se il decoro è sempre d’obbligo ed occorre preservarlo, in qualche caso è forse mancata un po’ di sana tolleranza.
Un articolo apparso oggi su Repubblica ha riportato i diversi casi di istituti italiani che si sono battuti contro queste tendenze degli studenti.
Al liceo scientifico Banzi di Lecce, la preside ha pubblicato una circolare che recita: “La scuola è un ambiente educativo, nonché un luogo istituzionale che merita adeguato rispetto e ciò implica che ciascuno lo frequenti con un abbigliamento sobrio e decoroso, consono all’ambiente scolastico”.
Il preside dell’Istituto Manzoni di Castellanza (Varese) ha emesso una circolare per chiedere ai bambini di non indossare canotta e bermuda.
Situazioni simili al Mazzini di Castelfidardo (Ancona) o all’Istituto di istruzione superiore Einaudi di Dalmine (Bergamo) dove è stato modificato appositamente il regolamento.
Ancora, al liceo artistico De Fabris di Nove (Vicenza) è stato consigliato agli studenti di indossare pantaloni oltre il ginocchio.
Infine la situazione di un liceo classico di Roma dove una docente ha richiamato una studentessa che indossava una canotta ritenuta non idonea al regolamento scolastico. La situazione è finita in presidenza, con un confronto richiesto dalla stessa ragazza.
Una norma nazionale sul dress code a scuola manca, come a volte manca del buon senso. Aldilà e aldiquà della cattedra.