Non solo il direttore della Prevenzione del ministero della Salute, Gianni Rezza, ma anche il governatore del Veneto Luca Zaia, che finora ha sempre fiutato il vento prima degli altri: "se il 7 si aprono le scuole in una situazione come questa, ho l’impressione che ci facciamo male".
I presidi del Piemonte con un certo piglio pratico hanno già persino scritto una lettera al governatore Alberto Cirio per con una proposta: riapriamo l’11 o meglio ancora il 18 gennaio. Questa idea è condivisa anche dal governatore del Friuli Massimiliano Fedriga.
Il Dpcm del 4 dicembre scorso, quello che annunciava la riapertura delle scuole superiori il 7 gennaio, è difficile che riesca a restare in vigore così com’è fino alla fine delle vacanze. «Resta il nostro obiettivo ma si dovrà fare una valutazione della situazione dei contagi a fine anno», ha spiegato ai suoi la ministra Lucia Azzolina.
Dei dubbi li deve avere anche lei se continua a ripetere che «durante le festività natalizie dobbiamo fare dei sacrifici anche per far tornare al più presto a scuola i ragazzi». E ancora più che il timore che il 7 gennaio non sia la data vera di riapertura delle scuole superiori dopo due mesi di didattica a distanza, al ministero lo scenario da incubo è quello di un ritorno in classe a gennaio seguito da una rapida marcia indietro: e questo - lo sa bene anche Azzolina - né lei né il governo se lo possono permettere, sarebbe una vera sconfitta. «Un rischio purtroppo concreto» secondo gli addetti ai lavori, come ha spiegato il preside del Volta di Milano Domenico Squillace: a metà gennaio «si pagheranno» gli effetti degli incontri natalizi e, se i contatti risalgono, «le prime a chiudere saranno le scuole: un rischio che si eviterebbe tornando in presenza a febbraio».
Del resto, più che il numero di contagi nelle scuole inoltre - sull’incidenza dei quali nel numero totale di malati Covid si discuterà ancora per molto -quello che rende complicata la riapertura delle superiori è il tracciamento: per ogni studente o professore che si infetta è necessaria almeno una trentina di tamponi ai loro contatti e le Asl non riescono a reggere. «Per riaprire - dice Pierluigi Nigri, vicepresidente dei pediatri - è necessario che ci sia in ogni Comune un centro per fare i tamponi a studenti e insegnanti».