Silvio Capizzoto, 46 anni, messinese di nascita, dopo anni passati nel settore automobilistico, tra Lamborghini, Fiat e Ferrari, ha deciso di lasciare la carriera da ingegnere per fare l’insegnante. “Ho deciso a un certo punto di mollare tutto e dedicarmi all’insegnamento. L’insegnamento è per me una missione”, racconta a Orizzonte Scuola. Silvio insegna da 4 anni in un istituto professionale di Modena.
"Mi sono inserito nelle graduatorie GPS. Il primo anno ho smesso di lavorare il 18 settembre alla Ferrari, il 21 ero già a scuola. Un cambiamento abbastanza rapido. L’anno scorso ho vinto il concorso straordinario e ora sono di ruolo per la classe di concorso A042".
"In Ferrari prendevo circa 3000 euro al mese. Avevo un ruolo di responsabilità. Tanti ragazzi aspirano a quel ruolo. Io per primo ero orientato verso l’azienda, poi però ho cambiato idea. L’insegnamento non è un lavoro ma quasi una missione. Insegno alle professionali e in questi istituti si può insegnare solo per passione. Non faccio l’insegnante per i soldi né per altro tipo di gratificazioni, si fa per i ragazzi. Quando i miei studenti mi chiedono perché ho lasciato la Ferrari per insegnare, io rispondo che mi piacciono le cose difficili".
"In Ferrari ero l’ingegnere delle sfide perché ho avuto sempre dei progetti molto particolari con livelli di complessità elevati. L’ultima è stata la Ferrari Portofino. Era molto sfidante come progetto.
La difficoltà con gli studenti è quella di riuscire a coinvolgerli e tirare fuori il meglio di loro. L’anno scorso abbiamo progettato la libreria della scuola, quest’anno l’hanno vista realizzata con una scaffalatura molto particolare, grazie alle mie esperienze in azienda. Sicuramente un’esperienza che un ingegnere appena laureato non può avere".
"Circa 14 anni. Dal 2004 al 2018. Ho girato un po’ tutte le aziende".
"Tra le motivazioni l’idea di avere più tempo libero, di poter gestire il tempo in modo diverso. Spesso facevo 12 ore al giorno. Come insegnante invece lavoro meno ore. Pensavo, a dir la verità, di lavorare meno".
"Assolutamente, bisogna sfatare il mito che gli insegnanti lavorano poco. È un lavoro di grande responsabilità. Questo è però soltanto un aspetto. L’altro è lavorare a contatto con i ragazzi e portare un messaggio: motivare i giovani senza motivazione, soprattutto i ragazzi che arrivano da noi al professionale. Arrivano talvolta dal fallimento, dopo che magari sono stati uno o due anni in altre scuole. Bisogna far capire loro che il fallimento fa parte della vita e va integrato".
"Sì, sono molto soddisfatto e sono contento di questa scelta. Continuo ad avere contatti con le aziende. Non ho abbandonato completamente il campo. Sono rimaste tante amicizie e stima da parte dei miei colleghi".
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