Il prossimo 26 marzo il movimento “Priorità alla scuola” ha indetto uno “sciopero sociale”, per chiedere la riapertura in sicurezza di tutte le scuole italiane di ogni ordine e grado. Quello che chiede il movimento, composto da insegnanti, genitori e studenti: Meno alunni per classe, quindi più docenti a disposizione, regolarizzazione degli insegnanti precari, adeguamento degli stipendi al livello europeo, investimenti sull’edilizia scolastica.
Il movimento è nato a marzo 2020 a Firenze, pochi giorni dopo l’entrata in vigore del lockdown decretato dal governo Conte 2 per cercare di frenare la pandemia. I promotori avevano come obiettivo quello di fare pressione sul sindaco Dario Nardella perché riaprisse le aule. Quella cellula fiorentina però si è rapidamente riprodotta con la nascita di sezioni a Milano, Roma, Napoli, Torino. Oggi il Pas è diffuso in quasi tutte le regioni e in molti capoluoghi di provincia, conta diverse migliaia di aderenti.
Priorità alla scuola coinvolge anche studenti: una di loro è di Torino e si chiama Anita. Il suo nome è diventato famoso a livello nazionale per un’azione in stile Greta Thunberg: per settimane si è piazzata con libri, quaderni e computer, in Dad (didattica a distanza) davanti alla sua scuola chiusa. Altri ragazzi l’hanno poi imitata. Un’insegnante di Faenza è stata, invece, la prima a organizzare una lezione in “Dad in presenza” con tutti gli studenti, distanziati, nel cortile del liceo dove insegna storia e filosofia.
Il 26 marzo, in concomitanza con lo sciopero indetto dai Cobas, verrà ribadito il manifesto-appello rivolto al governo: dirottare una fetta delle risorse del Recovery Plan sulla scuola pubblica. «Per mettere in pratica quello che serve davvero – eliminare le classi pollaio, regolarizzare l’esercito di precari, aumentare il numero dei docenti, adeguare e ampliare le strutture scolastiche – servono molti soldi» ammette Gloria Ghetti al Sole 24 Ore, che sottolinea però come il fondo messo a disposizione dall’Unione europea può rappresentare un’occasione unica, «a patto che sia impiegata nella scuola pubblica». In caso contrario, secondo la rappresentante del comitato nazionale di Priorità alla scuola, il rischio è che le disparità tra territori e istituti non solo non vengano superate ma si ampliino in modo esponenziale «Sarebbe una scelta di cui pagheremmo le conseguenze in futuro».
Già così, il 2020 e il 2021 presenteranno un conto salato: l’Italia è il Paese europeo in cui si sono perse più giornate di lezione. Inoltre, seguire i corsi e studiare prevalentemente a distanza, attraverso un computer, non sarà mai come relazionarsi di persona con insegnanti e compagni. In più, cresce il rischio di abbandono. «La generazione di studenti segnata dalla pandemia avrà inevitabili lacune – sottolinea Gloria Ghetti – e non lo diciamo noi, ma numerosi studi. Non si parla solo di carenze formative, ma soprattutto degli effetti psicologici e dell’impatto sulla costruzione della personalità dei ragazzi».