Un uomo è stato ritenuto responsabile del reato di minaccia a pubblico ufficiale, avendo pronunciato una frase minatoria nei confronti di un docente, il cui contenuto rendeva palese ed inequivoca la finalità perseguita, cioè di condizionare la valutazione dell’insegnante sul rendimento scolastico di uno studente, figlio della convivente. Contrariamente all’assunto difensivo, i giudici hanno dato atto dell’attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa (docente) e del riscontro offerto dagli altri testimoni, che avevano udito la frase minatoria riportata nell’imputazione, il cui contenuto palesava la finalità preordinata di condizionare la valutazione del docente. Lo ha stabilito il collegio della VII Sezione Penale della Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 14958 del 21 aprile 2021.
Un uomo, tramite i propri avvocati, ha proposto ricorso per Cassazione avverso la sentenza con la quale la Corte di appello di Napoli aveva a sua volta confermato la sentenza emessa nel marzo 2015 dal Tribunale, che aveva dichiarato l’imputato colpevole del reato di “violenza o minaccia a un pubblico ufficiale” (di cui all’art. 336 codice penale) e, esclusa la recidiva contestata, lo aveva condannato alla pena di 6 mesi di reclusione, con i doppi benefici. Secondo la difesa l’imputato aveva in realtà contestato il comportamento scorretto dell’insegnante verso la nipote e non verso un altro alunno, seguito da un insegnante di sostegno, senza incidere sulla determinazione del docente e, secondo la stessa difesa, nessuno dei testimoni aveva saputo riferire con precisione le espressioni proferite dall’imputato, comunque, espressive di disappunto e non di minaccia.
Il collegio della Cassazione non ha ritenuto veritiera la tesi difensiva, confermando la pena di 6 mesi di reclusione, quindi condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma in favore della cassa delle ammende di 3.000 euro.
Gli insegnanti delle scuole pubbliche sono pubblici ufficiali: la Corte di Cassazione, tra le altre sentenze, con quella del 3 aprile 2014, n. 15367, emanata dalla V Sezione Penale, aveva chiarito che “l’insegnante di scuola media riveste la qualifica di pubblico ufficiale in quanto l’esercizio delle sue funzioni non è circoscritto alla tenuta delle lezioni, ma si estende alle connesse attività preparatorie, contestuali e successive, ivi compresi gli incontri con i genitori degli allievi”. Per l’effetto, ben può essere punito per il reato previsto all’articolo 336 del Codice Penale, che disciplina il reato di “violenza o minaccia a un pubblico ufficiale”, chiunque usa violenza o minaccia nei confronti di un insegnante, per costringerlo a fare un atto contrario ai propri doveri, o ad omettere un atto dell’ufficio o del servizio. La pena è la reclusione da sei mesi a cinque anni, ma si eleva fino a tre anni, qualora il fatto sia commesso per costringere lo stesso docente a compiere un atto del proprio ufficio o servizio, o per influire, comunque, su di esso.
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