Michail Gorbaciov ha 54 anni, quando nel 1985 diventa segretario del Partito Comunista dell’Unione Sovietica. Per l’Urss è arrivato l’appuntamento con una svolta storica.
Vent’anni in meno del suo predecessore, quella di Gorbaciov è una rottura totale rispetto a ciò che fino a quel giorno avevano rappresentato i capi del Politburo.
Fa parte dell’area riformista del partito ed è scelto, col benestare dei servizi segreti, per portare avanti l’opera di riforma in un URSS sempre più in difficoltà.
Gorbaciov è l’esponente di una generazione che non era stata coinvolta nei tentacoli repressivi dell’età dello stalinismo, e vuole mostrare un volto più umano della macchina di Stato portando da subito una serie di radicali novità.
Il suo nome si lega a una parola che diventò poi slogan: Perestrojka, e cioè la ristrutturazione.
L’esito finale di questo riformismo fu l’implosione dell’Urss, un esito che Gorbaciov non voleva e non aveva previsto.
L’ultimo leader del PCUS voleva rilanciare il sistema, non abbatterlo. Ma i meccanismi di funzionamento del vecchio apparato sovietico erano ormai talmente logori che anche un solo tentativo di ammodernamento li avrebbe distrutti, come infatti avvenne.
Le liberalizzazioni attuate da Gorbaciov inseriscono nell’Urss elementi di economia di mercato e una nuova costituzione, senza passare alla democratizzazione del paese dove le fondamenta del potere del partito unico non erano intaccate da quegli spiragli di limitato pluralismo.
Queste riforme giovano solamente all’immagine sovietica nel mondo occidentale, con Gorbaciov che intorno agli anni ‘90 inizierà a viaggiare per l’Europa accolto come il liberatore.
E i suoi meriti nella costruzione di un mondo più pacifico sono infatti enormi, su tutte la riduzione degli armamenti missilistici sottoscritta con gli Stati Uniti nel 1987 a Washington, preludio della fine della Guerra Fredda.
All’interno del paese le riforme evidenziano invece le condizioni insanabili del sistema sovietico, mentre negli scaffali degli alimentari il cibo inizia a scarseggiare e partono i razionamenti. Nella Siberia occidentale si ha addirittura il primo clamoroso sciopero del “paese dei lavoratori” ad opera di minatori che operano in assenza di sapone e vestiti di lana.
L’apertura a nuove possibilità di dibattito politico metterà invece in moto una dinamica che in breve tempo non sarà più controllabile. È il risultato dell’altra parola slogan dell’era Gorbaciov: Glasnost, cioè trasparenza, libertà d’espressione.
A giovare di questa libertà sono i movimenti autonomisti dei territori soggetti al dominio sovietico.
Cominciano le repubbliche baltiche e proseguono quelle caucasiche, ma la parola fine sulla storia dell’Urss si ha quando è addirittura il popolo russo a disancorarsi da questo monolite che non era più possibile tenere in vita.
La Repubblica Russa rivendicò nel 1990 la propria autonomia ed elesse come presidente Boris Eltsin, che innescò un vero e proprio braccio di ferro con Gorbaciov, fino a che un golpe nell’agosto del ‘91 non tolse definitivamente dai ruoli di potere l’uomo della Perestrojka.
Scomparso ieri 30 agosto all’età di 91 anni, la memoria di Michail Sergeevič Gorbačëv resterà sempre divisa tra l'occidente che lo osanna e la Russia che prova o finge di dimenticarlo, con la Tv di stato che nemmeno ne ha annunciato la morte.
In quel lato del mondo dell’opera di Gorbaciov per un mondo più sicuro interessa poco, contano la drammatica crisi economica di quei giorni e l'aver posto la parola fine all’illusione sovietica. Gorbaciov voleva solo correggere l'URSS in nome di una maggiore trasparenza, convinto che fosse l'unico modo per tenerla in vita. 30 anni dopo quella libertà e trasparenza va scomparendo di giorno in giorno mentre si tenta di ricostruire ciò che fu l'impero sovietico...