Il rincaro del costo della vita colpisce anche le scelte sull’istruzione degli italiani. Lo scorso anno accademico ha infatti registrato un calo delle immatricolazioni universitarie del 3%, il primo segno meno negli ultimi cinque anni.
Ad abbassarsi è anche il numero di studenti fuori sede, che sono all'incirca un terzo del totale. Rispetto al 2018, nell’ultimo anno sono stati 100mila in meno.
Tutto a svantaggio dei costituzionali diritti allo studio e alle pari opportunità, oltre che della possibilità di costruirsi una vita migliore rispetto a quella in cui ci si è trovati alla nascita.
Alla base del calo i prezzi esorbitanti degli appartamenti e la bassissima percentuale di stanze assegnate per merito.
Secondo i dati riportati da Repubblica, sono soltanto 40mila gli studenti che possono accedere ad alloggi nelle case dello studente. Una quota minima che il Pnrr prevede di migliorare entro il 2026, quando gli alloggi dovrebbero diventare 100mila.
Misura necessaria in quanto in città come Milano, Roma o Bologna un posto letto in affitto, anche in case con altri studenti, arriva a costare dai 500 ai 700 euro.
Se si unisce al durissimo aumento dei costi la sensazione comune che una laurea non sia più un traguardo sicuro per avere accesso a un posto di lavoro ben remunerato si spiega il calo di iscritti.
Da parte dello Stato italiano manca inoltre, come sappiamo, un giusto livello di investimenti. Tra scuola e università per esempio, l’Italia investe circa l'8% della spesa pubblica, quando la media dell’Unione Europea è del 9,9%, con stati come la Svezia capaci di arrivare anche al 14%.